Il peso del sangue by Vladimiro Bottone

Il peso del sangue by Vladimiro Bottone

autore:Vladimiro Bottone [Bottone, Vladimiro]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Solferino
pubblicato: 2024-05-15T00:00:00+00:00


24

La Millecento si inoltra in questa zona di pascoli e coltivazioni, la punteggiano dei cascinali ben distanziati. All’orizzonte i contrafforti indaco delle Alpi, bordati di neve. La città si è sfrangiata da un pezzo alle spalle di loro quattro. L’autista, un milite di scorta con il MAB sulle ginocchia, poi, dietro, l’ingegnere Collotti e Troise. Collotti, stamani, ha l’aria fuori fuoco dei miracolati: senza che gli abbiano torto un capello si appresta a tornare libero, a meno di brutte sorprese. Nel frattempo fa vagare lo sguardo dai finestrini, sembra che debba rimparare la realtà da capo. Prima di scarcerarlo gli hanno riconsegnato l’impermeabile di buona fattura, lo indossava quando l’hanno catturato.

Sente freddo, ma per amor proprio cerca di non darlo troppo a vedere. Ha le mani bianche, se le torce.

Contrariamente ad altre volte, stamattina loro due non riescono a spiccicare una parola. Le altre volte: vale a dire nella cella che ospitava l’Ingegnere, messo al riparo dalla promiscuità con gli altri. Gli altri e il loro cubicolo per cinque prigionieri. Gli altri e quel tavolaccio in comune, dove crollare in un corpo unico di sonno. Gli altri e le loro costole incrinate, quei denti spezzati da cui filavano bave rossastre. Gli altri, insomma: quelli seviziati dagli accoliti del maggiore Cossu, dalla squadretta di picchiatori in forza all’Ufficio politico.

“Dov’è che l’ho letto?” si domanda Troise. “L’umanità si divide fra torturabili e non torturabili.”

L’autista ha fatto grattare una marcia, anche lui è nervoso. Troise sbircia in direzione dell’Ingegnere, affascinato dai sottili strati di nebbia in sospensione sui campi. Anche lui è in sospeso, volendo. Anche ora alle battute finali, perfino quando i patti sono stati ufficializzati dal mediatore in tonaca, può sopravvenire un intoppo. Il sospetto si è incarnito, la sfiducia alligna fra le parti che si considerano, a vicenda, illegittime. Talvolta succede che gli scambi di ostaggi si risolvano in una sparatoria a corta distanza. Va anche detto, però, che don Fantinato è un intermediario collaudato, le parti in causa lo rispettano unanimemente. Troise rammenta una mattina, nella stanza singola dell’Ingegnere. Quelle pareti con i rintocchi dei messaggi in codice, battuti con ogni mezzo dagli altri detenuti sui muri. Un telegrafo primordiale che pareva aggirare, scavalcare Collotti. Troise gli offriva sempre una delle sue pestilenziali Macedonia, certo non per deferenza ma per semplice buona educazione. Riassaporare qualche boccata rinfrancava puntualmente l’ostaggio. I progressi della mediazione, dal canto loro, temperavano parecchio il suo antico spirito anticlericale.

«Quel don Fantinato è una persona di prim’ordine. A volte, se non ci fossero certi preti, dovremmo credere che l’uomo è un animale scampato alla lotta per la sopravvivenza solo perché più carogna degli altri.»

Collotti si sente osservato, riporta l’attenzione all’interno dell’auto. Per la prima volta, da quando sono a bordo, l’Ingegnere si rivolge a Troise. Il profumo della normalità, della libertà rende grati. Addirittura magnanimi.

«Non so se avremo altre occasioni, ma non penso. Perciò vorrei ringraziarla.»

Sempre quel «lei». Sul pronome Collotti non ha mai abdicato, ne ha fatto una questione di principio.

«E di cosa? Io non vi ho fatto nessun favore.



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